COLORNO
Colorno è un comune di 8988 abitanti in provincia di parma.
La Reggia di Colorno
La Reggia di Colorno è un'elegante e monumentale struttura architettonica, con oltre 400 sale, corti e cortili. La Reggia è circondata da un meraviglioso giardino alla francese. Un tempo abitata dai Sanseverino, dai Farnese, dai Borbone e da Maria Luigia d'Austria. Visitabili anche l'appartamento nuovo del Duca Ferdinando e l'Osservatorio Astronomico. La Reggia di Colorno e tutti i Castelli del Ducato hanno bisogno di voi: ogni visitatore, ogni turista che entra in uno dei nostri manieri fa un viaggio nella Bellezza e ci aiuta a tenere vivi e aperte rocche, fortezze, manieri. Chiunque visita un Castello ne diventa il Custode per sempre.
La Reggia di Colorno è una complessa e monumentale struttura architettonica, con oltre 400 sale, corti e cortili, abbracciata dal torrente Parma, dalla piazza e dal meraviglioso giardino alla francese di recente ripristinato.
La Reggia, un tempo abitata dai Sanseverino, dai Farnese, dai Borbone e da Maria Luigia d'Austria, oggi ospita mostre temporanee e manifestazioni culturali.
Affascinanti sono gli appartamenti del Duca e della Duchessa e la Sala Grande, la neoclassica Cappella di San Liborio, con le tele di celebri artisti e l'organo Serassi, utilizzato nell'annuale Stagione Concertistica; l'appartamento nuovo del Duca Ferdinando e l'Osservatorio Astronomico.
Dal 18 dicembre 2015 alcune sale sono state arricchite e allestite con gli arredi storici provenienti dalle sedi della Provincia di Parma. Si tratta di mobili, vasi, suppellettili varie, quadri, arazzi, per un totale di 45 pezzi, tutti arredi originali documentati che storicamente facevano parte della dotazione della residenza ducale, ma anche arredi originali dell’epoca compatibili per qualità e caratteri formali con la Reggia.
Manicomio di Colorno
E’ il 1873 quando in seguito ad un epidemia di colera, l’ex palazzo Ducalediventa un rifugio per i malati. Inizialmente doveva essere una dimora temporanea, ma molti rimasero li tutta la vita, intrappolati tra le quattro pareti di quello che si rivelò ben presto l’inferno delle anime perdute: un manicomio.
Oltre ai malati, il luogo accolse anche vagabondi, prostitute, bambini abbandonati. Tutti costretti a vivere in pochi metri quadri e a condividere pessime condizioni igieniche oltre che trattamenti al limite del normale. Pochi anni più tardi, nel 1965, l’assessore alla sanità e ai trasporti, Tommasini, si recò in visita presso l’ospedale, trovando davanti a sé una situazione agghiacciante.
Più che un luogo di cura, il manicomio era una prigione. Le finestre avevano le inferriate, le stanze e i bagni erano freddi e i malati venivano legati a letto e torturati. Pratiche come l’elettroshock, l’uso di camice di forza o dei bastoni, venivano usate dagli infermieri per controllare i loro pazienti, trattati alla stregua di animali. Pochi infermieri, con turni massacranti e tante persone che invece di essere curate, entravano lì per morire. Venivano isolate dal mondo esterno, allontanate dalle famiglie senza alcuna possibilità di fare ritorno ad una vita normale.
L’impegno di Tommasini fu quello di ridurre gli orari degli infermieri e rendere il luogo più accogliente. La sua politica però si scontrò con la psichiatria tradizionale. Un punto di svolta è rappresentato dalla rivolta negli anni settanta, in cui un gruppo di studenti di medicina occupò l’edificio.
Di quel periodo Tommasini raccontava: “…noi facevamo l’assemblea coi malati al mattino e insieme organizzavamo la vita del manicomio. Sono stati gli unici trentacinque giorni in cui non si è ammazzato nessuno e nessuno è stato picchiato. Tutte le sere partivano dal manicomio decine di giovani con decine di malati a fare dibattiti nelle chiese, nelle fabbriche, all’università”.
Successivamente l’occupazione venne interrotta dalle forze fasciste a suon di sprangate, ma si era giunti alla consapevolezza delle vere condizioni in cui versavano i malati di mente. La protesta aprì la strada per la legge Basaglia, che permise la chiusura dei manicomi, o meglio, ne cambiò tutti gli aspetti. Lo psichiatra infatti, preso il controllo dell’edificio di Colorno, iniziò ad instaurare una politica ospedaliera che mettesse al centro il paziente e non la sua malattia.
Riecheggiano i danni psicologici inflitti dall’essere costretti a vivere in condizioni disumane. il luogo è lasciato a sé stesso: dalle finestre entra poca luce che illumina la polvere, le scartoffie lasciate per terra, i medicinali scaduti da anni. I muri sono scartavetrati, lasciano intravedere vecchi oggetti come carrozzine e lettini dove venivano applicate tecniche come la lobotomia. Un luogo che ne prima, e ne ora, rispetta la dignità di quelle anime perdute, come dimostrano le centinaia di cartelle cliniche riverse sul pavimento.
Per non dimenticare queste storie, e per rendere loro omaggio, lo street artist Herbert Baglione, con il suo progetto “1000 shadows” ha impresso su quel che resta delle pareti, la sua firma con dei graffiti che vogliono rappresentare i fantasmi di chi ha vissuto intrappolato come un emarginato in un luogo che avrebbe dovuto salvaguardare la vita.